Felice Lovisco nasce a Melfi nel 1950. Dalla fine degli anni sessanta è attivamente impegnato nella vita culturale della regione.
Negli anni settanta si trasferisce a Potenza per insegnare discipline pittoriche presso l’Istituto Statale d’Arte.
Nel 1976 è tra gli ideatori insieme ad altri maestri, del Centro d´Arte CoS.P.I.M. (Scultori, Pittori, Incisori, Musicisti, e Poeti) che diventa presto punto di riferimento per gli artisti della città di Potenza.
Negli anni ottanta fonda il collettivo “Arti Visive Quinta Generazione”, riscuotendo notevole consenso di pubblico e critica arrivando a pubblicare il trimestrale di arte contemporanea a diffusione nazionale “Perimetro”.
La sua attività artistica è poliedrica: vanta partecipazioni ad esposizioni di pittura e scultura in Italia e all’estero, illustrazioni di libri per poeti e realizzazioni di monumenti pubblici in legno e bronzo (tra i quali il grande Crocifisso di bronzo che domina l´area del presbiterio della cappella del Seminario Maggiore di Basilicata e i quattordici pannelli bronzei della via Crucis, inaugurati nell’aprile 1991 alla presenza del SS. Padre Giovanni Paolo II, il Portale in bronzo della Chiesa Madre di Pietragalla realizzato in occasione dell’anno giubilare e il grande monumento ai caduti, che campeggia nella piazza del comune lucano di Barile).
Sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private.
- L’artista Felice Lovisco ritratto nel suo atelier
TRA EROS E PASSIONE: LA PITTURA DI FELICE LOVISCO – Nota critica di Rino Cardone
Da anni Felice Lovisco ci ha abituati a un genere di pittura emotiva, appassionata e romantica – dai toni dinamici e trascinanti – capace di penetrare, con le sue “forme archetipe” e con i suoi colori istintivi, briosi e scattanti, nelle zone inviolate della mente e nelle parti inesplorate del subconscio umano.
La sua è dunque un genere di “espressione creativa” – correlata a una forma molto marcata di “espressività artistica” – che assegna una forte centralità al cosiddetto “archetipo semantico” della pittura, ovverosia a quello che tecnicamente è definito come il “modello semasiologico” della “rappresentazione visiva” (basato sul “significato” della forma da lui tratteggiata sulla tela) e che poi, anche, attribuisce un’ampia rilevanza al “simbolo” (imperniato sul “contenuto espressivo” della figura da lui disegnata sul “piano prospettico” dell’opera) e su quello che ci piace definire come il “prototipo antropico” del suo “immaginismo stilistico”. Così è, ad esempio, nei diversi casi in cui “ritornano” nella pittura di Felice Lovisco, determinati archetipi che sono anche appartenuti a Francis Bacon (il teschio d’animale) o a Picasso (la fetta d’anguria).
Osservando le opere di quest’artista non si può, inoltre, non convenire che egli mette in moto – con il suo lavoro – una forma di “espressione artistica” che mira all’esaltazione dell’istintività e della passionalità e che suggerisce, nello stesso tempo (quasi per effetto di una “missione” a lui stabilmente attribuita) una ricorrente “rottura” delle “convenzioni estetiche” e delle “consuetudini stilistiche” dell’arte contemporanea; sul filo di una “inquietudine esistenziale” che è tipica di quel Novecento artistico che Giorgio Cortenova ha inteso definire, a giusto riguardo, come il secolo dell’ansia apparente, delle vertigini dell’anima, dell’urlo ribelle e della solitudine essenziale.
Felice Lovisco si fa, di fatto, interprete di questi fenomeni di “rottura morale” e di “frantumazione sociale” (appartenenti al cosiddetto secolo della “transizione demografica” e della “tecnologia globalizzante” in cui noi tutti, adesso, viviamo) attraverso delle figure e delle forme in cui la luce dipinta appare come irreale, deformata, capace, nello stesso tempo, di esaltare le nuance chiaro scure che appaiono velatamente tra i colori dello sfondo (in qualche modo sempre “neutri” e “freddi” al fine di accentuare il senso di profondità dello spazio) e tra le tinte “calde” dei corpi (siano essi umani o animali) nella volontà precisa di creare un forte contrasto cromatico, in grado di liberare un effetto bidimensionale dagli esiti stilistici assai interessanti.
Rino Cardone

NOTA CRITICA DI LEONARDO MANCINO
Felice Lovisco è poeta della figura: l’abbiamo detto altrove e non ci stancheremo mai di additarlo come uno dei più intelligenti e rispettosi testimoni delle cose, degli oggetti, delle vicende che – con quelli – si fanno storia.
Il suo privilegiare eticità, il raccontare il gusto della favola tragica, appartengono alla biologia di tutti gli uomini meridionali, che al sud del mondo combattono il dramma di una vicenda individuale e collettiva, specifica, iscritta nella costellazione del precario. Lovisco ed il colore hanno rapporti di straordinaria familiarità: “al pittore il colore scende dalle braccia” e si dispone con fantasia sulla tela a disegnare favole vere che hanno come protagonista l’uomo. Nella sua esperienza giocano una parte rilevante le condizioni della vita meridionale: ne deriva quel gusto tipicamente barocco, ma altrettanto segnatamente realista che entra con particolare articolazione lucana nella sua arte e nei suoi liberati schemi poetici.
Più scopertamente che per gli altri artisti si manifesta la compiaciuta disposizione ad arricchire la realtà di elementi fantastici, a caricarla di uno spirito che non esitiamo a definire notevole.
Leonardo Mancino
